La Self – Compassion: Il potere dell’essere gentili con se stessi di Kristin Neff

Imparare a trattarsi come tratteremmo qualcuno che amiamo.

Ci sono libri che non si leggono: si attraversano. La self-compassion di Kristin Neff è uno di questi.

Psicologa e docente di Sviluppo Umano presso l’Università del Texas ad Austin, Neff è considerata una pioniera nel campo della self-compassion, concetto che ha contribuito a definire e portare nel mondo della ricerca psicologica. Le sue parole uniscono rigore scientifico e sensibilità profonda: parlano di mente, ma arrivano al cuore.

Il punto di partenza è disarmante nella sua semplicità: possiamo imparare a trattarci con la stessa gentilezza che riserviamo alle persone che amiamo.
Non per forzare l’autostima, ma per equilibrio. Non per compiacerci, ma per sostenerci.

Neff mostra quanto spesso siamo proprio noi i nostri giudici più spietati — pronti a scusare gli altri ma inflessibili con noi stessi.
La self-compassion, invece, è la scelta di restare accanto a sé anche nei momenti di caduta: riconoscere la sofferenza, accettare la propria umanità condivisa e, infine, rispondere con gentilezza.

Non è un libro “leggero”. Richiede lentezza, disponibilità e una certa tolleranza per le resistenze che inevitabilmente attiva: perché ci costringe a guardare parti di noi abituate a spingere, negare, pretendere. Non basta capirlo — bisogna sentirlo, lasciargli il tempo di depositarsi.
E quando accade, apre uno spazio di sollievo raro: quello in cui possiamo smettere di essere in guerra con noi stessi.

Per chi lavora nel campo della crescita personale o accompagna percorsi di carriera, è una lettura quasi necessaria.
Ci ricorda che nessun cambiamento duraturo nasce dalla durezza e dalla rigidità, ma dalla capacità di restare presenti anche quando non siamo all’altezza dei nostri stessi standard.

Self-compassion e lavoro: la gentilezza come competenza professionale

A prima vista, parlare di self-compassion e lavoro può sembrare un accostamento insolito.
Eppure è proprio nell’ambiente professionale che questa capacità mostra tutta la sua forza.

In un contesto dove performance, efficienza e confronto continuo dettano il ritmo, la self-compassion diventa una bussola interiore nei momenti di forte pressione.
Aiuta a gestire l’errore senza crollare, a imparare invece di colpevolizzarsi e a mantenere lucidità nei momenti di pressione.

Chi coltiva la self-compassion non smette di puntare in alto: cambia come si relaziona con sé stesso nel processo. È la differenza tra dire “devo riuscirci o sono un fallimento” e “posso provarci ancora, anche se oggi non è andata”. Una piccola svolta linguistica che, nel tempo, fa la differenza tra burnout e crescita autentica.

Per chi accompagna le persone nelle scelte di carriera, è un terreno fertile: aiuta i clienti (e i professionisti stessi) a riconoscere che non servono solo piani d’azione, ma anche una base di autoaccoglienza. Non possiamo costruire una direzione professionale sana se il motore interno è la paura di sbagliare.

La self-compassion, in questo senso, non è un concetto “morbido”: è una competenza professionale a tutti gli effetti, che rafforza l’autoregolazione, la motivazione intrinseca e la capacità di collaborazione.